Enneatipo Quattro - Invidia
Un significato diverso dalla definizione comune
Anche per questa passione dobbiamo abituarci a un significato della parola diverso da quello dell’uso corrente.
Questa passione non consiste tanto in un odio per la felicità degli altri, come la descriveva Sant’Agostino, quanto, piuttosto, nella percezione conscia di un senso di carenza e di imperfezione interiore (anche se non mancano persone reali e personaggi di questo tipo che sono apertamente invidiosi e distruttivi verso l’altro).
Una ricerca d’amore senza fine
Il desiderio di colmare questa lacuna provoca un’incessante ricerca d’amore, che non riesce mai a soddisfarsi, poiché il raffinato superego di queste persone impone loro di non accontentarsi mai di qualcosa che sia meno che perfetto.
Il Quattro si sente come una specie d’angelo caduto per proprio demerito dal Paradiso e soffre molto per questa sua “cattiva” immagine di sé.
Il dolore e i sensi di colpa sono percepiti in modo conscio e conducono, spesso, a una tendenza al lamento e alla depressione aperta o strisciante.
Il valore di ciò che non si ha
L’Invidioso valuta sempre come più importante – non importa se persone, cose o situazioni – quello che non ha e non c’è, piuttosto che quello che gli appartiene.
Ogni cosa è ardentemente desiderata e percepita come indispensabile, tuttavia, quando finalmente viene ottenuta, essa perde l’attrattiva che sembrava avere prima.
L’idealizzazione e il paragone costante
In questo processo l’idealità gioca un ruolo di primo piano.
Il tipo Quattro è quello che con maggior costanza paragona la situazione reale con un modello di perfezione irraggiungibile, rilevandone le mancanze.
Si crea così un caratteristico e doloroso “tira e molla”: ad esempio, si vedono solo le caratteristiche migliori del partner finché esso è lontano, ma non sfuggono nemmeno le più minute imperfezioni quando esso è vicino.
Nostalgia, rimpianto e creatività
Questa attitudine porta anche a rivivere emotivamente tutte le situazioni del passato, ammantandole di un velo di dolce tristezza e malinconia, e a sentire sempre di aver effettuato scelte sbagliate, sminuendo così le situazioni della vita presente.
Quest’atteggiamento esistenziale trova uno sfogo naturale nella creatività artistica, che diventa anche un mezzo per dare sollievo al tormento interiore.

Empatia e sensibilità
L’empatia per i poveri, i maltrattati e i sofferenti è molto viva in questo tipo, poiché il Quattro s’identifica facilmente con la loro condizione.
Molte donne Quattro, in base a questa sensibilità, hanno partecipato in prima linea nei movimenti di emancipazione femminile.
Una sensibilità che non vuole essere spenta
Profondamente radicato nei suoi sentimenti, l’Invidioso sente di percepire le cose con tanta sensibilità e profondità da non poter essere compreso dagli altri.
Tuttavia, preferirebbe rinunciare a tutto ma non a questa sua sensibilità dolorosa, che considera l’unico vero segno del suo essere vivo.
Desiderio di essere compresi profondamente
Il Quattro è il tipo che dà maggiore importanza alla capacità degli altri di decodificare i messaggi elusivi che si nascondono nel suo comportamento.
Per lui, chi lo ama deve comprendere i suoi desideri profondi – anche se non li esprime.
Emozioni che cambiano come il vento
L’elevata emozionalità si riflette anche sul piano umorale, provocando continui e immotivati alti e bassi.
Questi riflettono repentini passaggi tra momenti d’esaltazione e momenti di depressione occulta.
Speranza, raffinatezza e rifiuto della banalità
Nonostante tutto, il Quattro è anche fondamentalmente un ottimista.
Come nella canzone “Il Manichino” di Renato Zero, “spera sempre che la sua sorte cambierà”, o come Luigi Tenco, “non so dirti come o quando, ma un bel giorno cambierà”.
La raffinatezza estetica e interiore è un valore chiave.
Il Quattro non si accontenta mai della normalità, e personalizza ogni cosa che fa per esprimere la propria idea di bellezza ideale.
Alcuni Esempi di Persone o di Personaggi Famosi

Le capacità artistiche del Quattro fanno sì che fra i rappresentanti di questo tipo abbondino i poeti, i romanzieri, i cantanti, i pittori e gli attori. Fra questi ultimi segnaliamo subito Marilyn Monroe che, nonostante sia nell’immaginario collettivo il simbolo stesso della bellezza femminile, era totalmente insoddisfatta del suo aspetto. È ben noto il fatto che Marilyn distruggesse con le forbici album interi di fotografie, trovando sempre qualcosa che la rendeva insoddisfatta dell’immagine che trasmetteva. In realtà, e nel tipico modo dei Quattro, quello che faceva disperare la povera Marilyn era che nessuna foto poteva esprimere il dolore profondo del suo cuore; il disperato bisogno d’amore che era restato insoddisfatto per tutta la sua vita.
Molto simile a quella di Marilyn Monroe è anche la parabola umana di James Dean, altro celeberrimo attore che apparteneva a questo tipo. In genere gli attori di questo tipo riescono sempre a trasmettere ai personaggi che interpretano un’aura romantica e una sensibilità profonda, che spesso sono assenti nei copioni. Questo è il caso, ad esempio, di Viviane Leigh nella sua celebre interpretazione di Rossella O’Hara, che è invece un tipo Tre quintessenziale, di Robert De Niro nel film Il Cacciatore (il cui personaggio secondo la trama è invece un tipo Uno) o in Toro Scatenato (dove interpreta il ruolo del pugile Jack La Motta, un tipo Otto), di Judy Garland.
Nell’elenco infinito dei personaggi letterari che appartengono al tipo Quattro mi limiterò a citare, perché ognuno di essi esemplifica una distinta tendenza di questa passione:
- Edmond Dantès, protagonista de Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas padre
- Jago, nella tragedia Otello di Shakespeare (cui sono strettamente imparentati la Cugina Bette dell’omonimo romanzo di Honoré de Balzac, Uria Heep in David Copperfield di Charles Dickens, e Shylock ne Il Mercante di Venezia)
- Anna Karenina, protagonista del romanzo omonimo di Tolstoj
- Jean Valjean, protagonista de I Miserabili di Victor Hugo.
Jago è l’esemplificazione dell’Invidia distruttiva, dell’odio che si nutre in silenzio distruggendo prima la propria anima e poi, per una forma di rivalsa e di distorta giustizia, quella degli altri che hanno la fortuna di averne un’ancora integra. All’inizio della tragedia sembra che Jago sia mosso solo da una forma d’insana gelosia verso Otello, ma non è così.
Nel monologo interiore del primo atto, egli dice fra sé:
“Odio il Moro… Si è anche bisbigliato, qua e là, che egli mi abbia sostituito nel dovere coniugale fra le mie lenzuola. Non so quanto sia vero, ma per un semplice sospetto del genere io agirò come se avessi la certezza. Di me egli fa conto; e tanto meglio agiranno su di lui le mie macchinazioni. Cassio è un bell’uomo… Vediamo un po’… Prendergli il posto e far culminare il mio piano in un doppio colpo…”
In queste parole c’è la spiegazione della profonda motivazione di Jago: Otello e Cassio sono ambedue odiati perché hanno qualcosa che lui sente di non avere (il primo la gloria e l’amore, il secondo la bellezza e la purezza). Nella scena in cui Jago progetta la morte di Cassio, questi sentimenti diventano consci e Jago afferma:
“Non deve essere; se rimane Cassio, egli ha una quotidiana bellezza nella sua vita, che fa brutto me”.
Shakespeare, che era anche lui un tipo Quattro, conosceva perfettamente la potenza devastante di questo sentimento. Le sorprendenti parole finali del dramma, infatti, possono essere comprese pienamente solo se si è consapevoli dell’incapacità nel soddisfarsi che nutre segretamente l’odio invidioso. Dice Lodovico, rivolto a Jago:
“E tu, cane spartano, più insaziabile del dolore, della fame o del mare! Guarda il tragico carico di questo letto! È opera tua. Uno spettacolo che avvelena la vista! Nascondetelo!”.
In Anna Karenina, invece, la speranza di poter avere il vero amore non è persa e possiamo vedere in azione la tendenza del Quattro a lanciarsi a capofitto in qualunque situazione possa far balenare la possibilità di ottenere la soddisfazione di questo desiderio. Anna non esita, infatti, a chiedere il divorzio e a seguire all’estero il suo nuovo amore, pur sapendo che in questo modo avrebbe perso per sempre il proprio bambino, la persona che più amava al mondo.
Il drammatico punto di svolta arriva quando, nel corso di un tempestoso colloquio con Vronsky, Anna si convince che la speranza è perduta per sempre. Tolstoj scrive:
“Cosa posso volere? Posso solo volere che tu non mi lasci, come stai pensando di fare”, lei disse, capendo quello che lui aveva taciuto.
“Ma questo è secondario. Quello che voglio è l’amore e non ce n’è più. Perciò tutto è finito”.
Sì, morire! Lei pensava. La vergogna di Karenin e il suo disonore, e quello di Seryoza e la mia stessa terribile vergogna, tutto sarà cancellato dalla mia morte.
Morire – così lui proverà dolore, mi amerà e soffrirà per me.
Anche in Edmond Dantès si può vedere in opera il desiderio di rivalsa e di vendetta del tipo Quattro, ma qui esso assume forme più raffinate e durature. Dantès studia con l’acutezza psicologica di questo tipo i principali difetti dei suoi nemici, e li colpisce facendo provare loro lo stesso dolore che aveva provato lui. Tuttavia, a differenza di Jago e Anna, è sorretto dalla speranza. Le parole conclusive del romanzo lo esprimono bene:
“Non vi è né felicità né infelicità in questo mondo, è soltanto il paragone di uno stato ad un altro, ecco tutto.
Quegli solo che ha provato l’estremo dolore è atto a gustare la suprema felicità.
Bisognava aver bramato la morte, Massimiliano, per sapere quale bene è vivere.
Vivete dunque e siate felici, figli prediletti del mio cuore… tutta l’umana saggezza sarà riposta in queste due parole: aspettare e sperare”.
Ancora più intensa e capace di empatia è la luce che illumina Jean Valjean, dopo che Monsignor Benvenuto ha lavato la sua anima dall’odio, con un atto di profondo amore. Hugo descrive così l’effetto sul suo animo:
“Jean Valjean pianse a lungo. Pianse a calde lacrime, pianse a singulti, con più debolezza di una donna, con più spavento di un bambino.
Mentre piangeva, nel suo cervello si faceva sempre più luce, una luce straordinaria, una luce stupenda e terribile nello stesso tempo.
Guardò la propria vita, e gli parve orribile: la propria anima, e gli sembrò spaventosa. Tuttavia una luce dolce era su quella vita e su quell’anima.
Gli sembrava di vedere Satana alla luce del Paradiso”.
Nel resto del romanzo, Valjean incarna i lati migliori del Quattro integrato: sensibilità profonda, empatia attiva e capacità di trasformare il proprio dolore in aiuto concreto agli altri.
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